Carenza di vitamina D e COVID-19: quale legame?

È passato più di un anno dall’inizio dell’emergenza sanitaria causata dalla diffusione del virus SARS-CoV-2, e sebbene resti la necessità di ottenere, nel corso del tempo, un numero più elevato di ricerche e pubblicazioni che dimostrino un’eventuale correlazione diretta tra l’ipovitaminosi D e la malattia COVID-19, è ormai evidente che un sistema immunitario debole rappresenti uno dei più importanti fattori di rischio sia in termini di contagio che di gravità della patologia.

Prima di comprendere quale possa essere il legame tra la carenza di vitamina D e il COVID-19, è bene però chiarire esattamente cosa sia l’ipovitaminosi D e quali alterazioni possa generare.

 

Cos’è l’ipovitaminosi D e quali sono i suoi sintomi

Si definisce ipovitaminosi D lo stato di carenza o addirittura deficienza di appropriate quantità di questo gruppo di ormoni liposolubili nell’organismo. Questa condizione medica può essere causata da diversi fattori, anche concomitanti: un’inadeguata o assente esposizione solare, un insufficiente apporto della vitamina D nell’alimentazione, la presenza di particolari patologie (ad esempio a carico dei reni o del fegato), un incremento del normale fabbisogno o addirittura l’assunzione di specifici farmaci che potrebbero inficiarne l’assorbimento.

Le conseguenze della carenza di vitamina D a carico dell’organismo sono diverse, in alcuni casi anche particolarmente severe. Si verificheranno ad esempio problematiche a carico dell’apparato scheletrico (osteomalacia e osteoporosi negli adulti, rachitismo nel bambino), ma anche criticità più ad ampio spettro, come ad esempio una maggiore suscettibilità e predisposizione alle infezioni batteriche e virali; sensazione di stanchezza cronica; dolore alla schiena o, più in generale, alle ossa; difficoltà di concentrazione e di memoria; compromissione nella capacità di guarigione delle ferite; perdita dei capelli; sensazione di ansia e depressione; dolori muscolari e maggiore vulnerabilità anche a diverse patologie, alcune delle quali autoimmuni.

L’ampiezza, varietà e severità dei sintomi permettono di comprendere facilmente il ruolo fondamentale che questo gruppo di ormoni gioca nel nostro benessere generale e nella nostra salute complessiva, specialmente se si considera la forte interconnessione tra la vitamina D e il buon funzionamento del nostro sistema immunitario.

 

Vitamina D e sistema immunitario: una profonda interconnessione

La presenza di un adeguato apporto di vitamina D nell’organismo è legata a una corretta regolazione di una varietà di processi fisiologici necessari alla nostra sopravvivenza: nella sua forma attiva (calcitriolo o 1,25-diidrossivitamina D), essa svolge infatti un’azione protettiva nei confronti dell’apparato scheletrico, non soltanto garantendone un efficace funzionamento, ma anche il corretto metabolismo in virtù del legame con uno specifico recettore localizzato sulla superficie delle cellule.

Il medesimo recettore è, d’altro canto, presente anche in altri “sistemi” dell’organismo e in altre tipologie cellulari, comprese quelle del sistema immunitario. Va infatti tenuto presente che la vitamina D è, di fatto, un ormone che regola il funzionamento di una quantità di organi, e che contestualmente svolge un’attività modulante nel confronti della risposta infiammatoria: in breve, garantisce che l’organismo risponda correttamente dal punto di vista immunitario.

Nel gruppo di ormoni liposolubili (D1, D2, D3, D4 e D5) che vanno a comporre quella che comunemente chiamiamo vitamina D, è specialmente la D3 a mostrare queste particolari proprietà anti infiammatorie e immunoregolatrici, oltre che a vantare un notevole contributo al miglioramento dell’immunità aspecifica o acquisita, di fatto riducendo la possibilità di insorgenza di diverse malattia.

La vitamina D3 stimola infatti la funzione dei linfociti T, cellule “helper” che hanno lo scopo di riconoscere e attaccare eventuali microrganismi patogeni che penetrano nell’organismo. Più specificamente, la vitamina D stimola i globuli bianchi e li rende più sensibili al riconoscimento e alla reazione (ossia un’inattivazione) nei confronti delle aggressioni esterne.

 

Il COVID-19: più forte se il sistema immunitario è debole

Sappiamo che il virus SARS-CoV-2 attacca quasi tutte le cellule dell’organismo con l’obiettivo di creare nuovi virioni, ossia di replicarsi attraverso la produzione di cellule identiche al virus di partenza.

Oltre alla ben nota aggressione delle prime vie respiratorie, per loro natura più esposte al contagio perché deputate a immettere ed espellere aria, e alle ormai assodate sintomatologie polmonari, il COVID-19 può generare problematiche collegate all’infezione ma a carico di altri organi e sistemi. Qualche esempio? Il cuore, il cervello, il sistema cardiocircolatorio, i reni.

Va da sé che, a fronte di un sistema immunitario complessivamente più forte e reattivo, il virus SARS-CoV-2 non troverà un terreno particolarmente fertile per la proliferazione e, non a caso, la supplementazione di vitamine (in primis la D) in condizioni di carenza aiuta l’organismo a rispondere adeguatamente a un’eventuale infezione. Tale principio vale naturalmente non soltanto per il COVID-19, ma virtualmente per qualunque altra aggressione virale o batterica.

Un corretto assessment dei livelli di vitamina D e un’eventuale integrazione specifica, oltre che la regolare esposizione al sole e l’assunzione di alimenti che contengono questo gruppo di ormoni, è dunque da considerarsi fondamentale per mantenere un buono stato di salute generale.