Esiste un legame tra la carenza di vitamina D e la suscettibilità ai virus e, se sì, come si instaura?
Nelle ultime settimane, con la comunità scientifica mondiale collettivamente concentrata sull’emergenza Coronavirus, lo studio degli effetti delle ipovitaminosi è inevitabilmente tornato a tenere banco e non sorprende scoprire che una delle vitamine più “sorvegliate” sia proprio la preziosissima D.
Che la “vitamina del sole” sia uno dei principali alleati della salute non è una novità, tanto che l’AIFA ha recentemente pubblicato, nella sua Nota 96 risalente alla fine del 2019, le nuove regole relative alla prescrizione di vitamina D (nella sua forma D3, ossia il colecalciferolo) proprio per contrastarne la carenza in particolari categorie di persone che, in funzione di condizioni specifiche, potrebbero ritrovarsi a essere affette da ipovitaminosi. Tra queste, figurano anziani, donne in gravidanza o allattamento e malati di osteoporosi.
In generale, è confermato dalla comunità scientifica che la vitamina D, quando assunta a livelli adeguati, provochi effetti positivi non soltanto su ossa, nervi e muscoli, ma anche sull’ottimale funzionamento del sistema immunitario nel suo complesso.
La vitamina D: prezioso alleato per un sistema immunitario forte
Oltre a stimolare l’assorbimento di fosforo e calcio – e dunque mantenere in salute le ossa riducendone la demineralizzazione e prevenendo il rachitismo – la vitamina D è attivamente coinvolta anche in altre funzioni dell’organismo, che interessano organi, cellule e tessuti, oltre che responsabile di una positiva influenza sul sistema immunitario.
Qualche esempio? Secondo uno studio condotto tra il 2009 e il 2012 e pubblicato sulla rivista Hepatology Research, i pazienti in ipovitaminosi D mostrerebbero una risposta virologica ridotta nel trattamento dell’epatite B cronica.
E ancora: un’ulteriore ricerca condotta presso l’Università di Verona e resa nota nel 2019 durante il convegno napoletano della SIPPS (Società Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale) ha sottolineato come, nei primi dodici mesi di vita, i bambini mostrino livelli di vitamina D pressoché ottimali che, successivamente, tendono a decrescere. Alla riduzione della vitamina D nel bambino aumenterebbe il rischio di contrarre infezioni delle vie respiratorie, di sviluppare dermatiti e in generale di ammalarsi di altre patologie comuni legate al sistema immunitario. Proprio per questa ragione, così come per favorire l’accrescimento della massa ossea, la vitamina D è fortemente raccomandata già nel primo anno di vita del bambino e dovrebbe essere rivalutata con attenzione anche durante l’adolescenza.
Inoltre, sono numerosi gli studi che, negli ultimi anni, hanno indicato una possibile associazione tra ipovitaminosi o deficienza di vitamina D e rischio di patologie anche molto diverse tra loro: ipertensione, diabete, debolezza muscolare, depressione, diverse tipologie di sindrome dolorosa, malattie autoimmuni come lupus e artrite reumatoide e persino vaginosi batteriche durante la gravidanza – ossia, essenzialmente, infezioni dell’apparato genitale femminile.
Vitamina D e COVID-19: quale correlazione?
Secondo le ultime ricerche, ancora in atto mentre scriviamo questo articolo, la vitamina D sarebbe utile anche a contrastare l’ormai noto COVID-19.
La rivista online MicrobiologiaItalia ha pubblicato infatti un interessante approfondimento sulla questione, sottolineando come la vitamina D rappresenti un fattore chiave per il buon funzionamento del sistema immunitario e in particolare per la reattività del sistema respiratorio. Questa vitamina, infatti, deprimerebbe l’espressione di geni pro-infiammatori a livello delle vie aree mentre, al contrario, un suo deficit andrebbe di pari passo a un incremento di diverse patologie immuni e suscettibilità alle infezioni.
Più specificamente, la vitamina D si dimostrerebbe importante nel mantenere in buone condizioni la giunzione dell’epitelio polmonare e nella liberazione dei peptidi antivirali.