Come ogni anno dal 1988, il 1° dicembre si celebra la Giornata Mondiale contro l’AIDS (World AIDS Day): un evento su scala globale che ha l’obiettivo di accrescere la coscienza collettiva relativamente a una malattia che, in meno di mezzo secolo, ha provocato oltre venticinque milioni di vittime in tutto il mondo.
La grande diffusione e l’alto livello di mortalità per lungo tempo associati a questa patologia hanno reso l’AIDS una delle epidemie mondiali più distruttive e pericolose di sempre e, nonostante in tempi recenti sia aumentato l’accesso alle terapie antivirali di nuova concezione, nel solo 2005 la malattia ha comunque ucciso oltre tre milioni di persone – metà delle quali bambini.
La campagna 2022 del World AIDS Day, denominata “Rock the Ribbon” – ossia riferita al fiocco rosso che da sempre è considerato il simbolo mondiale della solidarietà alle persone sieropositive e ai malati di AIDS – si impegna a rallentare la diffusione del virus, garantire il rispetto dei diritti dei pazienti che convivono con la malattia e combattere lo stigma e la discriminazione che spesso colpisce queste persone.
Una curiosità: la Giornata Mondiale contro l’AIDS è stata la prima giornata mondiale destinata alla salute.
HIV e AIDS: qual è la differenza?
Il Ministero della Salute descrive l’AIDS (acronimo di Acquired Immune Deficiency Syndrome) come uno stadio clinico avanzato dell’infezione da HIV.
Quest’ultimo (Human Immunodeficiency Virus) è a sua volta un virus che attacca e distrugge una particolare tipologia di globuli bianchi, i linfociti CD4, responsabili della risposta immunitaria dell’organismo. In sintesi, il virus HIV indebolisce il sistema immunitario al punto tale che la sua risposta contro altri agenti patogeni come virus, batteri, protozoi, funghi e via discorrendo risulta azzerata.
È anche interessante sottolineare che l’infezione da HIV non si manifesta in modo specifico, ma si rivela piuttosto attraverso le conseguenze che genera a livello del sistema immunitario della persona colpita. Le persone sieropositive – ossia che presentano anticorpi anti-HIV nel sangue – possono vivere per molti anni in modo totalmente asintomatico e accorgersi di essere stati contagiati soltanto nel momento in cui si presenta una cosiddetta “malattia opportunistica”. Per questo, il test HIV è considerato l’unico modo certo di individuare l’infezione.
La sindrome di immunodeficienza acquisita è riportata per la prima volta nella letteratura scientifica nel 1981, quando il CDC di Atlanta, nello Stato americano della Georgia, segnala sul proprio bollettino epidemiologico un’improvvisa e inspiegabile impennata di casi di polmonite da Pneumocystis carinii in giovani pazienti, ma anche un incremento dei casi di Sarcoma di Kaposi, un raro tumore dei vasi sanguigni. È a seguito di questi nuovi dati che la comunità scientifica americana accerta la presenza di una nuova malattia, tanto che rapidamente viene costituita una task force dedicata proprio allo studio del Sarcoma di Kaposi e di altre patologie opportunistiche.
Dopo una fase iniziale in cui si ritiene, in modo ovviamente errato, che tali infezioni e tumori colpiscano esclusivamente le persone omosessuali, vengono registrati casi tra gli emofiliaci – persone che, a causa di un difetto ereditario nei processi di coagulazione del sangue, sono soggetti a regolari trasfusioni di sangue. Contestualmente viene segnalato anche il primo caso di trasmissione materno-fetale della malattia.
Inizia quindi a farsi strada l’ipotesi (corretta) che la patologia abbia un’origine virale.
Rapidamente la ricerca si diffonde in tutto il mondo e, nel 1982, la FDA americana parla per la prima volta di Sindrome da Immunodeficienza Acquisita: una malattia di origine non ereditaria ma che viene invece contratta in modalità, al tempo, ancora ignote, generando un grave deficit nel sistema immunitario. Il termine sindrome sta a significare che ci troviamo di fronte non a una singola malattia quanto piuttosto a una serie di diverse manifestazioni patologiche.
L’isolamento del virus dell’HIV avviene nel 1983 presso l’Istituto Pasteur di Parigi da parte del virologo francese Luc Montagnier e la sua identificazione pubblica come causa dell’AIDS è datata 1984. Tuttavia, alcuni casi isolati del virus erano stati individuati in diverse aree del mondo – USA, Africa, Europa – già negli anni Settanta.
Come avviene la trasmissione dell’HIV e quali sono le fasi della malattia
Le modalità di trasmissione del virus dell’HIV sono tre:
- Ematica: ossia attraverso trasfusioni di sangue infetto o scambio di siringhe infette. Sebbene negli anni Ottanta siano stati registrati numerosi casi di infezione ematica a seguito di trasfusioni di sangue positivo al virus, a partire dal decennio successivo – con la crescita della consapevolezza in merito all’AIDS e alle sue modalità di trasmissione – esse sono state praticamente azzerate grazie a controlli sempre più scrupolosi delle unità ematiche, al trattamento con calore degli emoderivati e a un’accurata selezione dei donatori di sangue.
- Verticale: è la trasmissione da madre a figlio che può avvenire durante la gravidanza, il parto o l’allattamento. Ad oggi, sappiamo che il rischio che una donna sieropositiva trasmetta al figlio il virus dell’HIV è pari al 20%, una percentuale che può ridursi fino al 2% con la somministrazione di un particolare farmaco antivirale (la zidovudina) durante la gestazione e, al neonato, nelle prime sei settimane di vita.
- Sessuale: rappresenta in assoluto la modalità di trasmissione del virus più diffusa nel mondo e interessa i rapporti sia di tipo eterosessuale che omosessuale. L’assenza di preservativo incrementa significativamente la possibilità di contagio, che avviene tramite contatto tra fluidi biologici infetti (seme, secrezioni vaginali, sangue, liquido pre-eiaculatorio) e mucose, anche se queste ultime sono apparentemente integre. Ricordiamo che, oltre all’HIV, i rapporti sessuali non protetti possono veicolare circa una trentina di ulteriori malattie sessualmente trasmissibili.
Il virus dell’HIV non si trasmette invece frequentando ambienti come saune, piscine, palestre, bagni pubblici, mezzi di trasporto, uffici, scuole e locali pubblici e certamente non attraverso strette di mano, baci, abbracci, strette di mano, lacrime, sudore, bicchieri e posate, sanitari, asciugamani, lenzuola e via discorrendo.
Per quanto riguarda le fasi della malattia, esse possono essere sintetizzate come segue:
- Il soggetto entra in contatto con il virus dell’HIV e risulta sieropositivo al test: ciò significa che l’infezione è in atto e che il virus può essere trasmesso anche ad altre persone. È bene sottolineare che, durante il cosiddetto “periodo finestra” (della durata di qualche settimana), la persona che è appena stata contagiata dal virus potrà risultare ancora negativa al test.
- Il virus può rimanere silente e asintomatico nell’organismo dell’ospite per lungo tempo, anche anni. È proprio tale asintomaticità che porta numerose persone ad accorgersi dell’infezione in modo del tutto casuale, al manifestarsi di una malattia cosiddetta “indicativa di AIDS”.
- Alla manifestazione di infezioni opportunistiche legate al virus dell’HIV – ovvero provocate da agenti patogeni che normalmente non infetterebbero una persona sana, ma che riescono invece a colpire soggetti immunodepressi – la malattia diventa clinicamente conclamata.
I principali agenti patogeni che colpiscono le persone sieropositive sono protozoi come il già citato Pneumocystis carinii, responsabile di una particolare forma di polmonite detta pneumocistosi, e il Toxoplasma gondii (che causa la toxoplasmosi); batteri come il Mycobacterium tuberculosis, responsabile della tubercolosi; funghi come la Candida albicans e virus come il Cytomegalovirus e l’Herpes simplex; ma anche tumori come i linfomi, il carcinoma del collo dell’utero e il già menzionato Sarcoma di Kaposi.
L’AIDS oggi: quanti sono i malati e quali sono le cure
Secondo il sito italiano dell’ONU, ad oggi vi sono circa 36,7 milioni di persone nel mondo che sono positive al virus dell’HIV.
La ricerca scientifica condotta nel corso dei decenni permette oggi di trattare i pazienti con farmaci dotati di una potente attività antivirale. Tra quelli più recentemente introdotti figurano gli inibitori della fusione (che impediscono l’accesso dell’HIV nella cellula ospite e, di conseguenza, evitano la penetrazione del genoma virale); gli inibitori del Ccr5 (che inibiscono il recettore Ccr5 della cellula ospite, bloccando l’entrata del virus) e gli inibitori della integrasi (che evitano che il genoma dell’HIV si integri nel DNA della cellula ospite, limitando quindi la replicazione virale).
Tutte queste classi di farmaci antiretrovirali assicurano una buona qualità della vita ai pazienti e riducono la possibilità di manifestazione dell’AIDS. Tuttavia, in considerazione della tendenza alla mutazione del virus dell’HIV, la ricerca di nuovi trattamenti è costante così come la somministrazione contemporanea di diversi farmaci antiretrovirali, in quella che viene definita “terapia combinata”. L’obiettivo è ridurre al minimo e ritardare quanto più possibile l’insorgenza di ceppi virali resistenti alle cure.
Le terapie oggi disponibili per la cura delle persone sieropositive sono considerate altamente efficaci, sebbene non consentano la guarigione dall’infezione. In virtù dell’efficacia dei trattamenti, i soggetti HIV-positivi hanno oggi un’aspettativa di vita essenzialmente analoga a quella delle persone non infette.
Contestualmente, sono in corso di sperimentazione nuovi farmaci per stimolare e sostenere il sistema immunitario dei pazienti, così come studi per mettere a punto un vaccino che possa prevenire il contagio da HIV nei soggetti ancora negativi e migliorare il decorso della malattia in quelli già infetti.